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lunedì 24 giugno 2013

Confessioni di un poeta

il chiarore che avanza fra le ombre sparse,
il lungo mormorio della vita nelle stazioni ferroviarie.

Un falò di parole irrompe nella piazza.
Un nero treno lacustre attraversa la città.
Il giorno rovescia le sillabe del mondo sui marciapiedi.

Ho sempre amato il tuono che squarcia il pomeriggio,
la ruggine e la pioggia, gli amori che finiscono
e il fumo che sale dalle gomme consumate.

I giorni idioti passano come i ponti.
Le statue volano come uccelli.
Le porte più chiuse si aprono come labbra.

Ho sempre amato quel che passa: i taxi affollati,
i fischi dei treni, le nuvole smarrite
e le foglie trascinate dal vento.

La grandine fustiga le piramidi della morte.
La porta del bordello stride nella canicola.
Un crepuscolo giallo circonda l'arsenale.

Ho sempre amato il rottame, la forma distrutta
dal tempo divenuto brezza marina.
Ho sempre amato il curculione nascosto nel silo.

Il rumore del torrente rende più chiara la notte
e dispiega fra le pietre i bei stendardi
di un sogno che accompagna un sole smantellato.

E ho sempre amato l'amore, che è come i carciofi,
qualcosa che si sfoglia, qualcosa che nasconde
un verde cuore impenetrabile.

Nell'arsenale di São Miguel dos Campos
il mare restituisce al mare il bottino reclamato
dalle vertebre perdute delle navi.

Ho sempre amato il tuono che risveglia coloro che dormono,
la porta della mia casa aperta al temporale,
il giorno che perde le squame come un pesce.

Ho sempre amato la nebbia fitta che nasconde i paesaggi,
i manichini, gli spaventapasseri, gli specchi infranti.
Ho sempre amato la ruggine, l'erosione e la scoria.

I container sono depositati nella stiva delle navi come cesti di fiori
La linea che separa la terra dal mare sfavilla come un lampo.
Nel'mmenso bancone del mondo c'è dissidio e commercio.

Ho sempre amato i pilastri che sorreggono i ponti,
le navi che partono, i fari e gli argani.
Ho sempre amato l'Oceano e i segnali luminosi.

Dove vivono i morti anch'io vivrò un giorno,
in questo nessun luogo che gli dei passeggeri
serbano alle ceneri che sono niente e nessuno.

Ho sempre amato la neve che cade sui platani
che orlano la Senna, mentre le barche
passano lente e bianche sotto i ponti.

Il chiaro formicaio di acque limpide
scoppia nel mattino sotto il preclaro
cielo azzurro sostenuto dagli uccelli.

Ho sempre amato gli specchi delle barberie,
i chioschi di fiori, le edicole di giornali,
i legumi sugli scaffali dei supermercati.

Il giorno è una moneta ossidata dalle chimere.
E i ponti tremano al passaggio delle corriere polverose
che effettuano le migrazioni della miseria e della morte.

Ho sempre amato ascoltare i rumori del mondo:
il ronzio dorato dell'ape sullo sterco,
il giorno strepitoso e il vento vagabondo.

Le navi fischiano. È ora di partire.
Ogni porta chiusa è un porto da aprire
dal vento trionfante che squarcia l'oceano.

Ho sempre amato la luce del sole storpio
che si annida nelle mangrovie, la luce fluviale del giorno
sulle dune che di notte camminano all'orizzonte.

Chi ha la chiave dei sogni apre qualunque porta.
Chi naviga dormendo arriva in qualunque molo
e nelle navi vede l'abolizione della morte.

E ho sempre udito la voce che mi chiama nel buio,
la voce dall'altro lato, giunta da altri mondi
che si disfanno nell'aria, lambiti dalla bruma.

Ho sempre amato questa voce che nemmeno è voce,
un sussurro del nulla, la cenere commossa,
una sabbia che stride nella spiaggia sconfinata.

Il fogliame nella notte mi copre quando dormo,
lenzuolo funebre di un sole puro che cerca sempre la tenebra,
mormorio di una fonte, pietra bianca di un muro.

E ho sempre amato il tempo e le intemperie,
la termite che prolifera nella nudità della materia,
nelle pallide colonie della notte depredata.

La fortuna ha voluto che, nel perdermi,
sempre mi ritrovassi, anche stando
nel naufragio che è sempre opera del vento.

Ho sempre amato ciò che vive nell'acqua nera delle mangrovie.
Ho sempre amato ciò che nasce. Ho sempre amato ciò che muore
quando la notte crolla sopra le case degli uomini.



Felici quelli che partono.

Non quelli che arrivano ai porti marciti. 

Felici quelli che partono e non ritornano più.

 

Che io sia sempre nel mezzo del cammino
e il mio viaggio resti incompiuto.
Felici quelli che non conoscono l’ultima stazione.
 
Felici quelli che scompaiono nella nebbia fitta,
quelli che aprono le finestre quando nasce il mattino,
quelli che accendono le luci degli aeroporti.
 
Felici quelli che attraversano i ponti
quando il pomeriggio scende fra i gazometri come un uccello.
Felici quelli che hanno un’anima distratta.
 
Felici quelli che sanno che, alla fine della traversata,
il Nulla li attende, come uno spaventapasseri in un campo di granturco.
Felici quelli che si ritrovano solo nella sconfitta e nel vento.
 
Felici quelli che hanno vissuto più di una vita.
Felici quelli che hanno vissuto innumerevoli vite.  
Felici quelli che scompaiono quando i circhi se ne vanno.
 
Felici quelli che sanno che ogni fonte è un segreto.
Felici quelli che amano le tempeste.
Felici quelli che sognano treni illuminati.
 
Felici quelli che hanno amato corpi e non anime,
quelli che hanno udito il pigolio delle civette bianche nel silenzio della notte.
Felici quelli che hanno incontrato una sillaba persa nell’erba coperta di rugiada.
 
Felici quelli che hanno attraversato la notte oscura e la bruma inopportuna,
quelli che hanno visto il fuoco crepitante nascere nei grandi falò di giugno,
felici quelli che hanno visto il cielo aprirsi come un manto per accogliere
                                                         [il volo dello sparviero.
 
Felici quelli che abitano nelle isole periferiche
e sono circondati al calar della notte da una nuvola di formiche alate.
Felici i sedentari che un giorno se ne andarono.

 Lêdo Ivo
Requiem



grazie a 
Vera Lúcia de Oliveira

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