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sabato 6 ottobre 2012

Charlie, me, il jazz e le stelle

A UN UCCELLO DI NOME CHARLIE
e a tutti coloro che, come me,
amano il jazz e le stelle ...

Se qualche volta confondi
Il tuo cuore con il tuo sesso e il tuo sesso
Con un sassofono che piange In una strada buia

O se spargi l’amore a piene mani Senza che nessuno lo riceva
E spaventato come un bambino ti svegli
E non c’è più carezza
Né colazione calda Né vestito vecchio né vestito nuovo
E neppure una sola goccia di materia
Che ti ricordi l’universo intero
Ma soltanto Un sassofono che non ti dà tregua
Un sassofono che non ti dà tregua
È così perché Charlie respira
Ti ricordi quando suonava Round about midnight o Lost
E tutta New York si metteva in ginocchio
Come se avesse visto Dio
Col vestito da sera e il sassofono di fuoco?
E se scopri la rugiada Al Central Park o Washington Square
Dopo aver bevuto molto Perché non hai più lacrime né saliva
Per baciare nessuno Quando vorresti baciare tutti
Se dimentichi quello fuggi da tutto perdi tutto
Ma conservi in chi sa quale tasca
La perla atroce della bellezza e la follia
Se quello che chiami vita è soltanto
Il vino stagionato di un istante
Il minuto che si dilegua ogni giorno
Attraverso il cesso e ritorna trasformato In un uccello giallo
Se il caffè forte e il whisky puro
S’assomigliano tanto ai capelli biondi
Di una ragazza che singhiozza amaramente Tra le tue braccia.
Se la tua anima fragile E il tuo collo basalto la tua sigaretta
Come una stella sempre accesa
I tuoi pantaloni e la tua camicia
Sempre sulla sedia se tutto quello
E tante altre cose ancora Ti ricordano la tristezza e il fulgore
Di Harlem sotto la pioggia È soltanto perché esiste 
Un sassofono che non ti dà tregua È perché Charlie respira
Perché tra le sue labbra si accende e si spegne
Una galassia che ci annienta Come un pensiero o una cifra infausta
Forse la musica non è la misura La somma totale di tutto ciò che esiste 
E la nostra vita forse soltanto il suono
Di un’orchestra che si accorda notte e giorno?
Ricordi le mani di Bud sul pianoforte
Volando come uccelli vivi Sopra cascate di luce e di cristalli bollenti?
E la trombetta di Dizzy nella notte
Che tutto rendeva incandescente?
E perfino l’Empire State si scioglieva
Come fosse stato d’oro puro?
E quando Max suonava la batteria?
Ricordi le sue mani armate Di migliaia e migliaia di scintille
Che lui lanciava verso le tue orecchie
E il tuo cuore e il tuo ombelico?
(Allora tutto era ritmo) Un tamburo l’intero cielo
Un tamburo la luna piena E tutto quanto attorno a noi
Tamburi unicamente Perché di ritmo siamo fatti
E perfino di ritmo Benché di mancanza di ritmo
Moriamo. Con noi Nasce il ritmo
Che non è tempo né senso
E nemmeno giubilo Ma piuttosto battito
Tamburo di pelle umana Che si brucia
Ossa che non sono ossa Ma vuoto
Infiniti flauti Di ossigeno divino
Che neanche quello è niente
Tranne che ritmo Luce che rimbalza
Da una nota all’altra Nel nostro udito (Mascherata da suono)
E se una volta Lontano dal caos della nostra origine
Nell’insondabile gorilla che si affaccia Tristemente al tuo sguardo
Lontano dal tempo e la routine Del nostro amore pieno di stracci
Di miserabili bottoni gonne e pantaloni
Che presto si stropicciano Se a forza di correre dietro la luna
Sotto i cipressi che pure corrono
Senza darti mai la mano Non ti rimane altro che il ritmo delle cose
Il bagliore degli oggetti Un tamburo nella testa
Una bottiglia tra le braccia Se dopo tanto godimento e tanto pianto
Tanto immobile viaggio verso il nulla
Il raggio viola di Saturno Bagna il tuo corpo e le tue sporche lenzuola
E ormai vicino alla fine getti
L’inutile perla nel cestino della spazzatura
O come un cane tu nascondi Il tuo vecchio sassofono sotto il letto
Se le tue costole il tuo teschio il tuo sorriso
Il tuo dentifricio con sapore di terra Ti ricordano che la vita
È soltanto farina pane per il verme
Se la sublime rosa libera
Gli ultimi protoni anziché il suo profumo
O il cubo della luce si spegne per sempre
Se ti pare che non sai niente Perché non puoi dire niente
Né sull’amore né sul ritmo
Se al posto della formula sacra
Dell’impossibile nota mai ascoltata 
Trovi soltanto silenzio oscurità entropia
Le vie piovose di Harlem Più piovose e più fredde ancora
Se la tua stanza d’albergo in penombra
S’illumina come un tempio quando guardi
Una vecchia fotografia di tua madre giovane
Stranamente blu e senza scarpe
E suona e suona nel tuo petto stanco
Un sassofono che non ti dà tregua
Un sassofono che non ti dà tregua
Se tutto quello non è ancora sufficiente
Non dimenticare che Charlie è un uccello ferito
E che il suo grido è il tuo stesso grido
Quando abbracci pieno di rabbia
Una ragazza persa dai capelli biondi
E le stelle ti fanno male più che mai
Dentro il tuo povero cuore da bambino
E il tuo glande in sussulto


Jorge Eduardo Eielson (Lima 1924 – Milano 2006), figura fondamentale della poesia ispanoamericana e dell’arte contemporanea, ha dedicato questa poesia, della raccolta Celebración (2001), al sassofonista Charlie Parker (1920-1955), conosciuto come “Bird”.

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